Mi ero dilungato sulle decisioni del governo indiano dopo gli attacchi a Mumbai, oggi il New York Times fornisce un altro tassello perfettamente combaciante. Il Kashmir ha bisogno di una soluzione politica, non di forze di sicurezza.
Il Kashmir musulmano e indipendentista, sul confine col Pakistan e occupato dalle truppe indiane, è stato per anni la Palestina orientale: il luogo che giustificava le azioni degli estremisti, nel quale si potevano reclutare giovani per le forze di combattimento islamiste e che garantiva nel suo essere 'caotico' delle opportunità per il traffico e i commerci illegali. Ovviamente oggi l'attenzione del mondo si concentra sull'Afghanistan, dove di nuovo truppe occidentali (agli occhi degli afghani, lo erano pure i russi) appoggiano un governo debolissimo e riescono a far rispettare le sue leggi solo dentro le città o nei territori militarmente controllati da alcune minoranze etniche alleate, ma finiscono sotto fuoco incrociato se osano avventurarsi all'esterno di queste enclave. Eppure il Kashmir è tutt'ora la chiave di volta del problema regionale.
Se si risolve la questione kashmira, in qualsivoglia modo, allora i militari pakistani non potranno più usare le tensioni con l'India per imporsi alle autorità civili e queste autorità civili non dovranno più cercare strategicamente l'appoggio di partiti fondamentalisti con largo sostegno popolare per stare in piedi.
Se il Pakistan si stabilizza, potrà affrontare i fondamentalisti casalinghi e mettere i bastoni tra le ruote a chi finanzia e appoggia i talebani afghani.
Non sarebbe di per sè risolutivo, una delle altre questioni chiave è il controllo dei confini in mano alle tribù montanare, ma sarebbe già un passo avanti e potrebbe aprire uno spiraglio alla soluzione politica adombrata dai pezzi grossi dell'esercito americano: allargare il governo ai pashtun spezzandone l'unità, anche a talebani 'moderati' disposti a por fine ai combattimenti, riconoscendo una virtuale separazione del Paese ma creando le condizioni per la ricostruzione e per un generale miglioramento della vita degli afghani, prerequisito per una pace duratura.
(Se amate la politicaccia nazionale, leggetevi la nuova finanziaria e ridete, io piango.
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