In campagna elettorale se ne dicono tante, nel filone del taglio delle spese inutili la destra puntò il dito sulle province promettendo di eliminarle. Posizione apprezzata da larga parte dell'elettorato, quindi una buona scelta di marketing elettorale. Era la stessa destra che aveva appoggiato la creazione di nuove provincie nel 2001-2006, ma è dell'uomo sia l'errare che cambiare idea.
Oggi, con la scure governativa che si abbatte sui punti deboli della spesa pubblica (non necessariamente sulle spese inutili, ma su quelle più facili da tagliare, che siano utili o meno) e col ministro Brunetta che imperversa a caccia di fannulloni e pigroni nella pubblica amministrazione, le dichiarazioni sulle province sono una ventata di aria fresca: "non si toccano finchè la Lega sta al Governo", dice Bossi (che vede il Carroccio presiedere 6 provincie ma nessuna grande città); "vanno tolte ma non si può fare in questa legislatura" dice Brunetta (alla faccia della maggioranza di cento deputati assegnata per legge, che vuole, il partito unico?). Ora li riconosco!
Non mi aspetto che il PD conduca una seria battaglia per l'abolizione: se ci tenesse, potrebbe essere un'interessante riforma bipartisan. Ma su quelle poltrone non siede solo la destra. Purtroppo, come spesso succede, si guarda al vantaggio assoluto e non a quello relativo: le nuove provincie sarde sono state appoggiate dal governo di destra del 2001-2006 con chiaro intento di gerrymandering, per qualche poltrona in più a noi vale la pena farne avere tante in più a loro? Poltrone e portafogli, portafogli e spese, spese e clientele, clientele e voti...
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